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Investimenti «di mercato» fuori dai limiti del deficit

  • Il Sole 24 Ore2018-07-07

La Commissione europea non perde occasione per ricordare all’Italia i vincoli del Patto di Stabilità. Un documento che già nel nome, che dovrebbe essere sempre declinato per intero: “Patto di Stabilità e Crescita”, evidenzia tutte le sue contraddizioni. Come può una qualunque cosa crescere rimanendo stabile? Volendo essere disponibili a superare questo ostacolo linguistico (prodotto probabilmente del diffuso analfabetismo funzionale) ci si può sforzare di trovare la buona fede nell’intento e dunque affermare meglio che l’ordinamento europeo prevede tanto il principio della crescita (articolo 3 del Trattato sull’Ue) quanto una serie di regole sulla integrità dei conti pubblici per tenere sotto controllo il debito degli Stati.

È però fin qui prevalsa la tendenza ad escludere del tutto dal calcolo del deficit quegli

investimenti pubblici in infrastrutture che costituiscono l’elemento fondamentale di ogni crescita economica e questo perché alcuni Paesi non saprebbero in- vestire oppure non lo saprebbero fare tempestivamente.

Lo spettro delle cattedrali nel deserto ovvero di opere che non si realizzano se non in tempi molto lunghi è la preoccupazione prevalente a Bruxelles dove si teme che l’utilizzo di eventuali fondi scorporati dal deficit non sarebbero sufficienti a garantire gli obbiettivi di crescita.

Per sconfiggere questa attitudine paternalistica che getta via anche il bambino della crescita, assieme all’acqua sporca, una prima soluzione potrebbe essere quella di scorporare dal deficit gli investimenti incontestabilmente produttivi e funzionali alla crescita stessa, mantenendo dentro il debito pubblico ordinario quelli privi di tali caratteristiche.

Più specificamente si potrebbero scorporare quegli investimenti che, anche se pubblici, fossero posti in essere rispettando gli standard di efficienza e il conto economico di un qualunque investimento di mercato, magari affidandone la valutazione ad un organismo indipendente (Bei?). Così come si potrebbero escludere dal deficit gli investimenti pubblici posti in essere insieme ad investimenti privati: perché in quel caso, evidentemente, vi è da ritenere si tratti di investimenti produttivi posti in essere con criteri di redditività, redditività cui qualunque investitore con capitale proprio pretenderebbe di mirare e ottenere.

Nulla di straordinario: i concetti ed i criteri qui richiamati sono coerenti con il Meip ( Market Economy Investor Principle), un

principio cui le autorità europee ricorrono, specialmente per valutare la sussistenza o meno di aiuti di Stato nel caso di investimenti pubblici (basti citare i casi Lanerossi, Alfa Romeo, Alitalia etc.)

Niente di muscolare al momento. Al più un serio intento di mettere le carte delle infrastrutture “di mare, di terra e di cielo” sul tavolo di una Commissione europea che apra gli occhi su di un’Europa lontana parente ormai di quel gigante economico descritto dalle vestali dell’autoreferenzialità.

 

Aprendo un negoziato serio - cui invitare a partecipare le associazioni dei principali player italiani di settore con i loro partner internazionali -, serio perché fatto di opere e numeri, per oggi e per domani. Il sud dell’Europa è una straordinaria piattaforma verso un nuovo sviluppo e l’Italia è un giocatore decisivo in questa partita. Assieme ai grandi stakeholder del nostro tessuto infrastrutturale dobbiamo costruire le opere del rilancio e dello slancio della nostra economia: per l’Europa e assieme all'Europa. Ispirandoci a quel principio di leale collaborazione che deve oggi assumere la responsabilità decisiva di scegliere la strada di un’autentica crescita.