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«Hanno dichiarato guerra al lavoro»

  • La Verità2020-02-17

Il senatore leghista: «I giallorossi continuano a ragionare in modo assistenzialista, il taglio del cuneo fiscale è un’elemosina per pochi a scapito delle partite Iva. È ora di introdurre una vera flat tax a favore delle famiglie»

 

Armando Siri, senatore leghista, è da sempre uno dei maggiori sostenitori italiani della flat tax. Ha appena pubblicato il saggio Flat tax - Fase II. Sviluppo e analisi della riforma fiscale. Dal contribuente al reddito familiare (Formapolis edizioni). Ha accettato una conversazione con La Verità sulle ricette economiche del governo e sulle possibili controproposte leghiste.

 

Senatore, i giallorossi avevano fatto i conti senza l’oste, cioè una pesante frenata dell’economia...

«L’arretramento è conseguenza di una malattia antica. Eppure si continua a curare il sintomo ma non la causa. Si prosegue a spendere in aspirine, ma non c’è il coraggio di investire in un antibiotico risolutivo. E così, periodicamente, ci ritroviamo a fare i conti con gli stessi sintomi che riemergono».

 

Eccoli qua i sintomi. Quarto trimestre del 2019 chiuso a - 0,3 %; Fitch che abbassa la previsione di crescita per l’Italia per il 2020 a uno striminzito +0, 2 %; la stessa Ue ci ridimensiona a una crescita del +0,3% (maglia nera europea); e infine il colpo pesante subito dalla produzione industriale...

«Male, male... Io non amo speculare sulla contingenza, sui dati che in un certo momento arrivano sulle spalle dell’uno o dell’altro governo. Il tema è una classe politica, anche europea, quindi non solo italiana, che non ha il coraggio di agire sugli aspetti fondamentali. A Bruxelles mi lascia stupito il no della presidente von der Leyen allo scomputo dal deficit degli investimenti in materia ambientale. Per non dire della leva fiscale: se non la si attiva in modo deciso, ogni volta saremo alle solite».

 

In effetti, i keynesiani direbbero: servono più investimenti. I liberisti replicherebbero: meno tasse. Donald Trump, che è un eterodosso, ha fatto entrambe le cose. Bruxelles però non sembra consentire né l’una né l’altra cosa se non entro limiti molto rigidi...

«La rivoluzione, prim’ancora che economica, deve essere culturale. Serve un cambio di paradigma dell’Europa, se vuole avere un futuro. Le regole esistenti vanno rimesse in discussione: anche perché non le ha mica portate Mosè dal Monte Sinai. Sono state scritte dagli uomini, e gli uomini possono decidere di cambiarle».

 

E quindi passare dall’ossessione balance the budget all’ossessione positiva per la crescita, intuisco... «Certamente. E anche abbandonare l’ossessione per l’inflazione. L’inflazione è come la febbre: muori se hai la temperatura a 32 gradi, e muori per la ragione opposta se ce l’hai a 43. Noi oggi siamo, per così dire, a 34...».

 

Tra l’altro, in questa condizione di debolezza economica, torniamo a essere esposti sul lato del debito. Non è molto saggio approvare la riforma del Mes, che potrebbe imporre pesanti condizionalità, in caso di crisi, ai Paesi più indebitati.

«Purtroppo, mi pare che l’atteggiamento del governo sia diverso. Anche qui, a mio parere, bisogna andare all’origine del problema: abbiamo una Banca centrale europea che non fa la banca centrale, cioè non fa il prestatore di ultima istanza come la Fed o la Bank of Japan. In quel caso il Mes non avrebbe ragion d’essere».

 

La riforma del Mes rischia anche di cambiare le aspettative degli investitori. Se una ristrutturazione del debito, pur non automatica, entra nel novero delle cose possibili per un certo Paese, è evidente che gli investitori chiederanno subito rendimenti più alti per comprare i nostri titoli...

«Cambiamo angolo visuale. Noi parliamo spesso dello spread, che ci spaventa perché abbiamo spostato il debito sovrano dalla gestione delle famiglie a quella delle banche. Se un cittadino compra 10.000 euro di titoli italiani può stare tranquillo: alla scadenza avrà il capitale indietro. La Repubblica italiana non ha mai dato fregature agli investitori. Quindi, per il singolo, se lo spread sale o no, non conta granché. Ma se invece quegli stessi titoli sono nel bilancio di una banca, se lo spread sale, e se la banca deve chiudere la trimestrale, è evidente che è costretta a ricapitalizzare. Per questo ho presentato una proposta sui Cir, i conti individuali di risparmio, per far tornare la raccolta a singoli e famiglie, anche con vantaggi fiscali».

 

Arriviamo alle proposte del governo. Hanno fatto un taglietto del cuneo che partirà in estate...

«Intervenire nei confronti dei dipendenti era doveroso, ma questa è un’elemosina. Stiamo parlando di 20 euro al mese: certo, sempre meglio di due dita negli occhi... Ma se per fare questo dai una botta in negativo da 700 euro ai lavoratori autonomi, a quelli che sono stati costretti a uscire dal forfettario o che non ci sono potuti entrare, allora il gioco diventa pericoloso...».

 

Lei si riferisce per un verso al mancato aumento a 100.0 0 0 euro del regime del 15% per partite Iva e autonomi, e per altro verso al fatto che, pur entro il limite dei 65.000, dove formalmente è rimasta la tassazione al 15%, sono stati rimessi i paletti o d io s i che precludono questo regime. Basta avere 20.000 euro di spesa per i dipendenti o 30.0 0 0 di altri redditi, e sei fuori. «Di più. Non si rendono conto che in tutte le famiglie c’è un lavoratore autonomo. E in generale loro non tengono conto della famiglia, cioè del reddito complessivo familiare».

 

Esemplifichi.

«Se c’è un nucleo in cui uno ha un reddito di 80.000 e un’altra, per esempio, di 27.000, senza figli, siamo proprio sicuri che sia questa la famiglia da aiutare prioritariamente con l’intervento sul cuneo?».

Lei teme, intuisco, che pure con la riforma dell’Irpef finisca male. Una doppia partita di giro. Un po’ di aumenti Iva, un po’ di tagli alle agevolazioni fiscali (quindi aumenti di tasse per qualcuno), in cambio di limitati tagli fiscali (magari a favore di altri)? «È la solita logica. Sembra un gelato variegato in modo anomalo: cioccolata, amarena, nocciola... Un “tutti gusti” confuso che rischia di diventare indigesto. La verità è che serve un coraggio da leoni per fare la riforma fiscale, invece qui vedo tanta ipocrisia».

 

Tra l’altro, tornando alle partite Iva, non è assurdo da parte del governo? Come fanno a non vedere che oggi tantissimi devono fare più lavori per mettere insieme un reddito accettabile? Quei contribuenti che fanno più lavori andrebbero premiati, non puniti.

«È un virus ideologico: si incontrano la teoria espiativa e quella sanzionatoria, ciò su cui si fonda la natura stessa del fisco italiano… Diciamola tutta: è in corso un attacco al lavoro, in particolare al lavoro libero, a quello autonomo». Ce l’hanno con imprese e partite Iva? «Sono quei 5 milioni di imprese che garantiscono ad altri 12 milioni di famiglie, quelle dei loro dipendenti, di avere un reddito. Ce ne rendiamo conto?».

 

Pensioni. Come finisce? Quota 100 voluta da voi resterà? Il governo starebbe studiando una specie di «quota 102», ma c’è da temere penalizzazioni.

«La fregatura è inevitabile, da quello che vedo muoversi nella maggioranza. E anche qui ci si occupa del sintomo e non della causa. Anziché penalizzare chi vuole andare in pensione, occorre incoraggiare - con un taglio di tasse - chi entra nel mercato del lavoro, o chi vuole rimanervi, o chi vi fa entrare o restare degli altri a cui dà lavoro».

 

E allora arriviamo alla sua controproposta e al suo nuovo volume sulla flat tax.

«L’ho scritto proprio per mettere tutto nero su bianco. Altro che slogan campati per aria. Ed è ormai pronto un disegno di legge per la riforma complessiva del sistema fiscale. Con un approccio totalmente diverso: non più centrato sul singolo contribuente, ma su un nuovo soggetto, la famiglia fiscale».

 

Come funzionerebbe e quanto si pagherebbe?

«Per tutte le famiglie monoreddito fino a 55.000 euro, e per le famiglie bireddito fino a 65.000, scatterebbe l’aliquota al 15%, con una deduzione per garantire la progressività. Una platea che coprirebbe il 95% degli attuali lavoratori dipendenti. Per i single, prevedo una soglia di reddito un p o’ più bassa per accedere al 15%. E per chi è fuori da questo range, il sistema sarebbe semplificato a tre aliquote».

 

E per le imprese?

«Gradualmente, si scenderebbe dal 24% al 20%, e poi dal 20% al 15%. Con il 15% a regime dal 2024».

 

Il primo anno quanto costerebbe l’operazione per le famiglie?

«12 miliardi».

 

Coperture?

«5 miliardi di recupero dall’evasione: lo dicono loro, sono le loro cifre… Ma in realtà il mio approccio è più realistico, perché abbassando le tasse e semplificando, si creerebbero i presupposti per una vera fedeltà fiscale: 3,7 miliardi si recupererebbero come stimolo al Pil, ci sarebbe cioè una certa crescita da considerare. Poi un po’ di deficit e un po’ di limature alle tax expenditures. Due miliardi verrebbero dall’eliminazione di Ace e altri incentivi, nel momento in cui abbassi l’Ires sulle imprese».

 

E ora?

«E ora intendo portare questa proposta all’attenzione di categorie, cittadini, imprese. Di tutti quelli che sono ricettivi rispetto a una vera riforma fiscale. Di tutti quelli che non si accontentano dei “cerotti” del ministro Roberto Gualtieri».