Con l'entrata in vigore del bail-in lo Stato non può esimersi dal garantire quei risparmiatori che non hanno intenzione di speculare sul proprio denaro, ma pretendono che almeno in banca sia al sicuro.
Il nostro sistema impone di fatto alla maggioranza degli italiani di usufruire di un conto corrente per effetto delle leggi sul riciclaggio e il divieto delle transazioni in contanti sopra i 1.000 euro. Leggi che hanno un costo per i cittadini. Per non parlare della prassi imposta a dipendenti e pensionati che, ancor prima delle leggi di limitazione sulle transazioni in contanti, sono stati costretti a ricevere stipendio e pensione sul conto corrente. Sono dunque centinaia di migliaia i cittadini che non avevano un conto e hanno dovuto aprirlo facendo ingrassare le banche con balzelli e spese.
Alla luce di quanto successo con il dissesto delle quattro banche italiane, i cittadini hanno ancora meno fiducia negli istituti di credito. Se a ciò si aggiungono le recenti norme sul bail-in, lo Stato ha l'obbligo, se vuole mantenere invariato il quadro normativa, di creare un Istituto Pubblico di Credito e Risparmio. Sarebbe una banca abilitata a raccogliere il risparmio degli italiani, a effettuare solo operazioni garantite dallo Stato e a destinare una parte delle risorse agli impieghi a sostegno di mutui immobiliari e micro impresa.
Dovrebbe essere questa banca a siglare un accordo con Cdp per iniziative rivolte allo sviluppo economico e sociale della nazione, e non Poste Italiane, un ibrido societario dove gli utili si distribuiscono al mercato, mentre le eventuali perdite le paga lo Stato. Troppo comodo. Creare un istituto pubblico di risparmio con caratteristiche operative snelle non significa tornare al monopolio pubblico nel settore del credito, però oggi i cittadini hanno diritto a poter fare una scelta. D'altro canto gli istituti privati non possono agire in barba a qualsiasi etica professionale, come per esempio hanno fatto i funzionari di Banca Etruria, che hanno piazzato titoli ad alto rischio nel portafoglio di pensionati e risparmiatori inconsapevoli. Le banche dovrebbero avere l'obbligo di indicare in modo inequivocabile il grado di rischio su ogni contratto di sottoscrizione di titoli. Sarà compito della Banca d'Italia stilare una lista con i titoli commercializzati indicando il grado di rischio e imponendo alla Banca la dicitura sui contratti.
Dovrebbe poi essere costituito un fondo interbancario presso Bankitalia fra tutti gli istituti privati in concorrenza tra di loro pro-quota, a seconda dell' ammontare della raccolta di ciascuno e capace di coprire le ripercussioni di un eventuale dissesto di uno o più banche. Un fondo che poi potrà rivalersi sugli asset positivi delle stesse banche come accaduto per le newco dei quattro istituti finiti in dissesto.
Infine un capitolo va destinato al mercato dei titoli di Stato. La Bce ha deciso di acquistare sul mercato primario una quantità di debito degli Stati, ma una grossa fetta è ancora in «pancia» a soggetti finanziari stranieri che possono determinare un nuovo 2011 da un momento all'altro. Non dimentichiamo che chi vendeva il debito italiano in quel momento era la Deutsche Bank, che aveva nel frattempo incamerato molti titoli di Stato italiani.
Su questo punto occorre, come abbiamo proposto in un emendamento alla legge di Stabilità, una modifica normativa sulla gestione delle aste di collocamento del nuovo debito: non più del 10% dovrebbe essere acquistato da soggetti stranieri. Il restante potrà essere collocato presso gli investitori istituzionali nazionali e il pubblico indistinto, i quali dovranno però godere di un'ulteriore agevolazione fiscale riducendo l'aliquota della ritenuta dal 12,50 al 6,50% e ottenendo un maggior tasso di interesse, in una forbice tra lo 0,25 e l'1% rispetto ai titoli collocati all'estero.
I titoli destinati al mercato nazionale non potranno essere poi oggetto di contrattazioni verso l'estero, ma solo verso il mercato interno. L'Italia vanta più di 4 mila miliardi di risparmio privato e può permettersi di acquistare il debito nazionale senza ricorrere al mercato straniero. E a chi dice che l'acquisto del nostro debito da parte del mercato estero rappresenti un segnale di fiducia nell'Italia, ricordo che oggi sono soprattutto gli italiani che debbono tornare ad avere fiducia nel Paese. Queste sono alcune proposte utili a un confronto fra quelle forze politiche che abbiano la volontà di trovare una soluzione coraggiosa allo stato immunosoppressivo in cui versa la povera, ma non ancora sconfitta, Italia.